Il cibo è molto più di una necessità biologica; è un’espressione diretta della nostra storia e delle nostre tradizioni. Racconta chi siamo e da dove veniamo.
Per chi vive all’estero, la cucina non solo agisce come un potente collegamento alle radici culturali, ma diventa anche parte dell’adattamento, contaminandosi e generando nuove versioni di sé.
Ho abitato case che avevano il loro centro in cucina. La cucina era una stanza, non un angolo cottura. In cucina si chiacchierava, giocavamo, prendevamo il caffè. In cucina studiavo, guardavo i film e osservavo chi stava ai fornelli. Rubavo con gli occhi.
Nessuno mi ha mai insegnato a cucinare, non c’era bisogno. Guardare è sempre stato abbastanza e, all’occorrenza, ho saputo fare.
Alcuni riti legati al cibo hanno accompagnato la mia infanzia. Preparare il sugo per l’inverno, per esempio. I pumadora. Si sceglieva il giorno che andasse bene per tutti, ci si svegliava prestissimo. Un quintale di pomodori rossi e buonissimi nelle ceste di vimini. Li lavavamo col tubo dell’acqua, poi li spellavamo, li passavamo al passatutto, oppure li tagliavamo a pezzettoni. Sterilizzavamo i vasetti, poi aggiungevamo il basilico, li chiudevamo e mettevamo a bollire nella grande caldaia. A fuoco lento, tutto il giorno.
Era una festa. Quell’odore lo ricordo benissimo. Assaggiavo, imbottigliavo, mi divertivo. Ancora oggi non riesco a comprare la salsa di pomodoro. È più forte di me. Qui a Sydney non ho mai preparato la conserva per l’inverno, ma preparo sempre il sugo con i pomodori freschi (questo significa che mangiamo pasta al sugo prevalentemente in estate). Cerco e cerco salse pronte che promettono autenticità e comodità, ma nessuna ha mai eguagliato il sapore di quella fatta in casa, radicata nei miei ricordi d’infanzia.
La mia cucina cambia impercettibilmente di continuo. Seguo sempre il flusso delle stagioni, perché così sono stata abituata. Non mi verrebbe mai in mente di comprare l’anguria in inverno, per esempio.
Qui “down under” la stagionalità è differente sia per quello che offre sia per la durata con cui lo fa. E così mi adatto e dialogo con quello che trovo sui banchi di frutta e verdura.
Mi piace cucinare in modo nutriente e semplice, non mi piace mischiare troppi ingredienti, non mi piace alterare troppo i sapori delle pietanze. Amo i legumi, che di solito cucino in un tegame di coccio e condisco con un filo di olio crudo. Amo le vellutate: di zucca, di piselli, di zucchine e finocchi, di fave. Aggiungo sempre tante spezie. Pepe nero, curcuma, peperoncino. Mai cumino e mai coriandolo. Lascio che il mio gusto si modifichi, ma solo se riesco a digerire 😉
Amo le insalate di finocchi, ma anche quelle con sedano, macadamia e pere. Vedete le contaminazioni? In Italia avrei usato le noci. Mi piace il pesce appena scottato e qui ho imparato ad insaporirlo, a volte, con la dukkah, un condimento popolare in Egitto credo, composto da una miscela di erbe, noci e spezie tostate e poi macinate insieme fino a ottenere una consistenza grossolana. Dico a volte perché la dukkah mi restituisce un sapore troppo ricco e aromatico. Mi piace perché dona una texture croccante ma, al tempo stesso, appesantisce troppo il gusto semplice del pesce, secondo me.
Mi piacciono le patate bollite e la cicoria ripassata (che però non trovo a Sydney) e allora sostituisco con verza e radicchio in padella. In questo caso aggiungo zenzero e, a volte, un po’ di uvetta. Adoro i risotti e le bruschette con il pane buono.
Le paste anche, con tante verdure. Zucchine, melanzane, pomodorini. Una scorzetta d’arancia ricoperta di cioccolato fondente a fine pasto. Questa è, di base, la mia cucina.
Non mangio nessun tipo di latticini e non l’ho insegnato ai miei figli. Loro li mangiano, ma li scoprono per conto loro o con il padre e imparano ad aggiungerli ai piatti creando le loro varianti.
Guardo in cucina Andrea e Luca. Sono curiosi e già molto diversi da me. Hanno assorbito un’identità mista. Amano sapori inusuali per me che arrivo dal sud Italia. Si preparano le uova strapazzate usando il burro, per dirne una. Accompagnano la carne ai sottaceti e mangiano un pesce tendenzialmente diverso da quello che offriva a me il Mediterraneo, alla loro età.
Mi piace cucinare insieme a loro o semplicemente lasciare che mi osservino, come facevo io. Mi piace immaginare che tipo di cibo porteranno in tavola e sto preparando il nostro ricettario di famiglia, così che abbiano sempre a portata di mano, la base da cui partire.
Al di là di quello che mangeranno, vorrei davvero che assorbissero l’idea che il cibo è salute, che è importante mangiare con senso. Vorrei che avessero chiaro come ogni scelta alimentare influenzi non solo la nostra salute fisica, ma anche quella mentale e emotiva.
Spero che, attraverso il cibo, imparino il valore della cura di sé e del rispetto per la terra.
Mi piacerebbe che, nonostante le distanze e le differenze culturali, possano sempre trovare nel cibo un ponte verso le loro radici, un modo per ricordare e celebrare chi sono e da dove vengono.
In fin dei conti, cucinare e mangiare sono atti di comunione e amore, un modo per connettersi con gli altri e con sé stessi, un rituale semplice ma profondo che spero continueranno a valorizzare e tramandare.
Manuela, Sydney
Foto di Mara Neumann